Disabilità e sport

Lo sport è importante per i disabili perché viene praticato in un ambiente demedicalizzato e favorisce un’esperienza multisensoriale.

Lo sport per persone con disabilità motorie è una pratica relativamente recente. Il primo a capirne l’importanza è stato Ludwig Guttman, nel 1944, all’interno del centro di riabilitazione motoria di Stoke Mandeville, quando cominciò a organizzare allenamenti specifici per sollecitare la collaborazione attiva dei disabili.

Altra data importante è il 1948, quando sono stati organizzati i primi giochi per atleti disabili a Stoke Mandeville. L’iniziativa ebbe un tale successo che dal 1960 diventarono internazionali. Infatti proprio in quell’anno si tenevano le Olimpiadi a Roma e così vennero organizzate anche le gare per persone con handicap, le prime Paralimpiadi.

Ad oggi l’attività sportiva per disabili è molto diffusa. Sono molte le federazioni e le associazioni che organizzano gare e corsi per favorire l’integrazione umana e sportiva degli atleti con disabilità.

Lo sport nella riabilitazione e nell’integrazione

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel 1999, definisce la disabilità come la riduzione o la perdita di capacità funzionali conseguente alla menomazione e l’handicap come lo svantaggio vissuto a causa della menomazione e della disabilità. Riabilitare significa supportare i bisogni e le motivazioni della persona attraverso interventi sia rivolti alla persona ed all’ambiente, sia mirati ad un processo di crescita armonica e non ad una ipertrofia compensatoria.

In passato, le persone con disabilità venivano considerate “inadatte” per la partecipazione alle attività sportive.

L’uso dello sport nella riabilitazione è aumentato perché ne ha mostrato gli effetti positivi sia dal punto di vista fisico che psicologico, grazie a ricerche che mettono in evidenza come un’attività sportiva regolare riesca a migliorare lo stato funzionale e la qualità di vita.  stato dimostrato che la partecipazione ad attività sportive da parte di pazienti con lesione al midollo spinale aumenta la loro integrazione nella comunità. Inoltre fornisce loro più possibilità di tornare al ruolo sociale che avevano prima dell’evento causante disabilità.

Come per tutti gli sportivi, anche nelle persone con disabilità, lo sport aiuta ad incrementare la percezione di sé fisica e sociale e aumenta il senso di controllo della vita e intervistando atleti disabili emerge che essi avrebbero desiderato fare sport molto prima della disabilità, perché si sono resi conto dell’impatto molto positivo dello sport nella vita.

Negli adolescenti disabili, la partecipazione ad attività sportive può impattare positivamente sullo sviluppo dell’identità e, con l’aiuto dello sport, hanno la possibilità di sviluppare un’identità di cui andare fieri: quella di atleta.

Integrazione non significa inserimento, ma accesso, accoglienza e conseguente adattamento del gruppo in seguito all’inserimento del portatore di handicap. L’integrazione risiede nell’avere un ruolo e uno status nel gruppo; essere riconosciuti dall’altro ha una valenza fondamentale sul valore personale e lo sport offre innumerevoli occasioni di integrazione sia tra bambini e persone disabili che non. Nell’integrazione gli aspetti della persona coinvolti sono: il far parte del gruppo, l’essere utile e avere delle risorse, l’evidenziare nel gruppo le proprie abilità, il condividere le emozioni in gioco, il lottare per uno scopo insieme ed iniziativa nello stare con gli altri.

Perché l’esperienza sportiva sia positiva ci deve essere il suo inserimento all’interno degli interventi riabilitativi a carattere interdisciplinare, che considerano il ragazzo nella sua globalità e il successo dell’integrazione anche attraverso lo sport, dipende anche dalla definizione degli obiettivi ed interventi adeguati alle potenzialità, dagli atteggiamenti sia da parte della famiglia che della scuola, dalla assenza di barriere architettoniche.

I profili psicologici degli atleti disabili sono simili a quelli degli atleti non disabili, le ricerche non dimostrano una differenza tra disabili e non disabili. Tante sono le motivazioni per cui una persona disabile farebbe sport e sono i medesimi motivi per cui una persona non disabile pratica sport: per la sfida della competizione, per il divertimento, per l’amore per lo sport, per la salute, per far parte di una squadra, ecc.

La partecipazione allo sport dovrebbe essere una sorta di estensione del programma della riabilitazione e può significare un ritorno alla vita.

Aspetti sociali e sport

All’interno dello sviluppo e maturazione psico-fisica, lo “stare insieme nello sport” può trovare significato nel saper stare con gli altri, coinvolgendo diversi aspetti di sé come la propria personalità, l’identità, l’autostima, l’affettività, l’emotività e tutti gli aspetti legati all’apprendimento che coinvolgono componenti mentali, fisiche e motorie.

L’esperienza dello “stare insieme” nello sport o nel fare attività di movimento insieme agli altri, propone una grande occasione di benessere e piacere che si articola su molti livelli: la dimensione interpersonale nello stare con gli altri; il condividere finalità, obiettivi e strategie; l’avere un ruolo nel riconoscimento dei compagni; il collaborare e impegnarsi per uno scopo di gruppo; il rispettare le regole, l’istruttore/allenatore, gli avversari, i compagni, la propria attrezzatura sportiva; il condividere emozioni e sentimenti, gioie e frustrazioni; il sentirsi competenti ed efficaci ma anche fallibili e con dei limiti.

Alcuni sport attualmente praticati dagli sportivi disabili:

automobilismo, atletica leggera, badminton, bocce, bowling, calcio, canoa, ciclismo, curling, ginnastica, equitazione, goalball, judo, lotta, nuoto, pallacanestro, pallanuoto, pallavolo, pattinaggio, pesca sportiva, scherma, sci alpino, sci nautico, slittino, sollevamento pesi, tennis da tavolo, tiro a segno, tiro con l’arco, vela, ecc…

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