Diventare mamma nel terzo millennio
Ditemi, c’è qualche cosa di più romantico e tenero che vedere una mamma che si accarezza il pancione mormorando, con uno sguardo sereno, perso in chissà quale roseo futuro, una ninna nanna tra sé e sé?
Fare dei figli, portare in grembo e mettere al mondo una nuova vita, è considerata una delle priorità, una condizione quasi magica, intoccabile. In quasi ogni cultura ed epoca le donne in dolce attesa hanno goduto di privilegi e sguardi di ammirazione. Essere mamme ha da sempre regalato alla donna uno status elevato, quasi un segnale che quella persona, che normalmente nessuno noterebbe, è un essere degno di attenzione, che deve essere protetto e aiutato.
Ma cosa significa diventare mamma oggi? Cosa ci si aspetta da una mamma moderna? Come viene vissuta nel mondo odierno, dalla mamma e dalle persone che la circondano, la gravidanza?
Negli anni passati, le nozioni passavano di generazione in generazione, da madre a figlia. Sì, probabilmente non sempre avevano un valore scientifico, ma svolgevano per benino il loro compito: rassicurare e aiutare la donna. I componenti femminili di tutta la famiglia si riunivano attorno alla “prescelta”, e l’accudivano in ogni sua esigenza, la rassicuravano e l’aiutavano, standole accanto prima, durante e dopo il parto. Questo perché il parto era una cosa “da donne”. Gli uomini non servivano, il loro lavoro lo avevano già fatto, ora erano inutili se non d’impiccio.
Oggi, la famiglia e le tradizioni sono state sostituite dall’asettica ma altrettanto sicura scientificità della medicina, e se da un lato questo ha fatto sì che la mortalità di mamma e figlio durante il parto crollasse drasticamente e la protezione sociale (non solo familiare) delle donne migliorasse di molto, ha causato anche un repentino abbandono della neo-famiglia a sé stessa, senza la rassicurante compagnia di nonne e mamme pronte a tramandare il loro sapere, le loro cure e il loro affetto.
La neo-mamma è ora da sola. Sì, certo, ha vicino un uomo molto più propenso ad aiutarla e a sostenerla, ma è un uomo confuso, che non sa da che parte iniziare, perché non ha nessun esempio da seguire. Ha indubbiamente il controllo sulla propria gravidanza e sul puerperio, senza fastidiose invasioni di campo da parte di parenti zelanti, ma non ha una rete di protezione e deve imparare a fare tutto da sola. Nei casi disperati, c’è sempre la possibilità di ricorrere all’immenso sapere di internet, un sapere vario…fin troppo, dove si trova tutto e il contrario di tutto e dove ci si confida con nickname più che con persone.
Le rappresentazioni collettive di madre, sono in piena trasformazione. E in questo particolare periodo, non è che se la passino proprio bene le donne che decidono di mettere al mondo un figlio.
Mentre in passato le donne erano “fatte” per fare bambini, per accudirli, per trovare in loro la loro massima fonte di soddisfazione, ora la donna che rimane incinta non trova più tutto il suo appagamento a rimanere nelle quattro mura domestiche, immersa nella piena e magica fusione con il suo bambino. Questo non basta più. E non solo perché la donna ha ampliato i suoi orizzonti e ha scoperto che oltre ad essere madre può essere anche donna, compagna, professionista,… ma anche perché vive in una società che ormai, al contrario di prima, si aspetta da lei una prestazione simile a quella maschile: nonostante la procreazione sia ancora oggi una delle priorità assolute, ci si aspetta che la donna sia il “meno incinta possibile”, e quando lo è, è mal tollerata e soggetta a sanzioni o ricatti sul campo lavorativo. E’ come se l’essere incinta non offra più quel prestigio che veniva riservato qualche tempo fa. E’ come se coesistessero idealizzazione e svalutazione del ruolo materno, ritenuto un dovere, una capacità spontanea e innata ma, al contempo, una scomoda realtà a livello produttivo.
Del tipo: hai voluto la parità, e ora pedala! Dimenticando la sottile ma sostanziale differenza tra parità (di diritti, di autonomia decisionale, di libertà di scelta) e uguaglianza (di prestazioni nonostante diverse capacità e risorse).
Quindi cosa può fare la donna, che si sente smarrita e sola, buttata in questo nuovo mondo che le è sempre stato raccontato come ‘bellissimo’ e che ha sempre sognato, ma che si ritrova a non saper gestire? Di certo da qualche parte dovrà pur cercare conforto, dovrà pur arginare la sua ansia e la sua frustrazione. Ecco, quindi, che negli ultimi anni le donne hanno assunto la tendenza a dirigersi verso tre direzioni: verso un “nuovo padre”, ovvero un compagno concretamente presente e dotato di totale empatia; verso un “bambino competente”, che dia meno problemi possibile, che si uniformi perfettamente alla media generale e, se possibile, che sfiori la perfezione, e verso dei “professionisti devoti e onnipotenti”, surrogato delle materne cure, capaci di allontanare l’idea e il pericolo di errori se non di morte. Il problema è che queste mitiche creature in cui la donna cerca rifugio per sentirsi capita, sorretta e protetta, non esistono, o per lo meno, non sono ancora presenti.
La passata società non ha preparato le nuove mamme a svolgere il loro compito. Non ha insegnato loro come riuscire a non ‘sacrificare’ tutta la propria personalità nel momento in cui si ha un figlio. Per par condicio, non ha neanche insegnato ai padri ad essere dei ‘nuovi padri’: competenti, ma che si fanno da parte dando spazio alla compagna; presenti, ma non invadenti; affettuosi, ma non deboli. E, diciamocelo, anche noi professionisti ci troviamo in un momento di impasse, dove attendiamo speranzosi che le ricerche attuali, che vengono sfornate quotidianamente dalle riviste scientifiche, ci diano un segno, una via, una luce da seguire per trovare la strada giusta, il giusto compromesso tra passato e presente e, soprattutto, tra presente e futuro.
La sola cosa importante è stare molto attenti a non fare un’inversione di rotta, attratti dalla confortante sicurezza che il conosciuto e il passato ci può offrire. Bisogna guardare avanti, evolversi, capire cosa è giusto tenere dei valori tradizionali e capire cosa abbandonare, essere abbastanza coraggiosi da rinunciare ai propri preconcetti e guardare in avanti. Si faranno degli errori, le mamme si troveranno ancora in bilico a non saper cosa scegliere, i padri si sentiranno ancora delle responsabilità che non sapranno affrontare, ma si andrà avanti, un passo dopo l’altro, verso la definizione di una nuova idea di famiglia, di mamma e di papà. Saranno poi i genitori del prossimo millennio a giudicare e a godere degli sforzi fatti oggi.
Noi tutti professionisti, insieme ai genitori che ci si affidano e ci insegano cosa vuol dire avere un figlio in questo particolare momento storico e culturale, stiamo creando il futuro. Lo stiamo modellando per creare una nuova visione di famiglia, più incline a soddisfare le esigenze presenti.
Vediamo di fare un buon lavoro.
Psicologa