DSA: i postumi della legge 170 del 2010. Conversazione con il Dott. Renzo Tucci
T.S. Oggi siamo in compagnia di Renzo Tucci, psicologo e psicoterapeuta clinico esperto sui disturbi dell’apprendimento. Innanzitutto, Grazie a Renzo Tucci che oggi risponderà ad una serie di domande che ci vengono rivolte alla nostra Associazione da colleghi che vogliono orientarsi al meglio nel vastissimo mondo DSA. Iniziamo con la prima … Nel 2010 è stata approvata la legge 170 in materia di DSA. Sappiamo che la legge è nazionale, ma come funziona a livello regionale..ad esempio nel Lazio? Perché per ogni regione ci sono delle specifiche differenti?
R.T. Non è facile rispondere ad una domanda di questo tipo ed immagino che per i corsisti che vogliono avviarsi alla professione non è facile rintracciare tutte le “coordinate” per affacciarsi a questo lavoro. Di questa legge uscita nel 2010, ci sono fondamentalmente 3 cardini da tenere in considerazione, per prima cosa è l’aspetto giuridico, con la possibilità di garantire la pari opportunità degli individui che hanno una caratteristica ovvero un disturbo specifico dell’apprendimento. La legge è a livello Nazionale, poi dovendo tutelare un diritto si preoccupa di declinare l’intervento a livello Regionale. Di qui passiamo al secondo cardine, le regioni hanno l’onere di assolvere questo problema sanitario, perché chi si occupa di diagnosi e certificazione è la sanità, e chi certifica queste problematiche lo fa come meglio ritiene. Quindi dal livello regionale in poi inizia il caos. Dopo la legge 170, alcune regioni si sono attrezzate costituendo una loro legge regionale, quindi è importante sapere che delle regioni ma non tutte possono avere delle leggi regionali specifiche. In più dopo la legge 170 durante la conferenza Stato Regione, conferenza che permette allo Stato e alle Regioni di interloquire, in qualche modo si è strutturato un percorso che permette a ciascuna regione di deliberare, e quindi siamo ad un altro livello di Legislature che prevede che la Sanità Regionale può declinare l’intervento dello Stato a livello locale nella propria regione. Ancora più caos! Inoltre non tutte le regioni hanno dato seguito alla conferenza Stato Regione emanando direttive proprie. Io mi trovo in una regione da questo punto di vista fortunata, quale il Veneto, perché ha predisposto da subito tutta una serie di protocolli, ovvero una legge regionale, una serie di normative che prevedono chi deve certificare e chi in qualche modo deve preoccuparsi delle persone che si trovano in una condizione di DSA. A monte di tutto questo c’è sempre la legge nazionale e il problema fondamentale di questa legge, a mio parere, è come viene declinata la possibilità di chi deve fare le diagnosi. La legge nazionale chiaramente prevede che chi si deve occupare della diagnosi è in primis lo stato quindi il sistema sanitario nazionale, ma dice anche, che le regioni nel cui territorio non sia possibile effettuare la diagnosi nell’ambito dei trattamenti specialistici erogati dal Servizio sanitario nazionale possono prevedere, che la medesima diagnosi sia effettuata da specialisti o strutture accreditate. Questa dicitura è quella che ha creato maggior confusione nella regioni, poiché ciascuna l’ha interpretata in maniera diversa; alcune con una connotazione restrittiva, nella quale il professionista debba lavorare in una Struttura dedicata ed accreditata a tal fine, ad esempio in Veneto è passato l’accreditamento istituzionale della struttura con all’interno il professionista esperto. Altre regioni come la Liguria o la Lombardia hanno creato liste di professionisti esperti o equipe dedicate che eseguono le diagnosi.
T.S. Tutto ciò quindi ha inevitabilmente degli effetti sulla popolazione professionale che si vuole formare. Quanto agli effetti sull’utenza?
R.T. Sicuramente ha degli effetti ma permettimi di dire che questo aspetto giuridico non garantisce di per se Qualità. La confusione non è solo percepita dai professionisti ma anche dagli utenti, spesso questo si traduce in molte domande che le famiglie legittimamente pongono ai professionisti privati, come per esempio: “ma se mi rivolgo a lei la relazione che lei mi darà avrà un valore o no?”, “ha validità di certificazione oppure no?”, “è una diagnosi oppure no?”, “vale per tutto o vale solo per il DSA?” Sono domande che possono mettere in crisi il sistema familiare costretto a scegliere se affidarsi o ad un professionista o una struttura, non sulla base della comprovata specializzazione del professionista, come invece accade in generale nella ricerca d’aiuto sanitario. Ma permettetemi anche un’ulteriore considerazione rispetto al fatto che in Italia abbiamo tante normative relative ai DSA: il livello scientifico, garantito dalle varie conferenze di consenso, che si preoccupa della diagnosi non solo dal punto di vista nosografico, ma anche del profilo di funzionamento di una persona con DSA, cercando di garantire valutazioni appropriate dal punto di vista metodologico. La corretta applicazione di una metodologia appropriata può a volte portare a definire profili compatibili con un disturbo specifico dell’apprendimento, altre volte descrivere profili di altra natura (DSL, DI, FIL, difficoltà di apprendimento secondari, etc). A scuola tutti questi profili hanno pari dignità, nel senso che risultano meritevoli di attenzione ed aiuto; i profili con DSA hanno anche una tutela legale aggiuntiva rappresentata dall’applicazione della legge 170 del 2010, tramite la certificazione omonima. A scuola a volte si può far fatica a distinguere una diagnosi da una certificazione, può succedere quindi di estendere l’idea di Certificazione (corretta nel caso di DSA, appunto per la legge 170, e di Disabilità , per la legge 104) anche ad altri tipologie di disturbo: non esistono certificazioni di altro tipo, per esempio per disturbo d’ansia o del comportamento, ma solo diagnosi e relazioni cliniche, sufficienti ovviamente per poter ricevere attivare un aiuto personalizzato a scuola. Il clinico può supportare famiglia e scuola nel districarsi all’interno di tutti questi aspetti scientifici e giuridici, nazionali e regionali, clinici (mi riferisco ad esempio alle Linee Guida della Sanità) e scolastici (mi riferisco alle normative del MIUR in tema di inclusione e Bisogni Educativi Speciali.
T.S. Grazie Renzo credo che tu abbia espresso benissimo quali sono le perplessità e le possibilità per chi si appresta alla professione e non. Prima di chiudere questa intervista, dacci un consiglio, prova a immaginare gli interlocutori di questa intervista, e prova a darci un consiglio sia per il professionista sia per l’utente che può essere un genitore.
R.T. Per chi si approccia alla professione direi di costruire la propria professionalità, cercando di formarsi nel miglior modo possibile, affidandosi a professionisti del settore con riconoscimenti nel campo scientifico, iscritti a società scientifiche riconosciuto in Italia, come per esempio l’AIRIPA, Associazione Italiana per la Ricerca e l’Intervento nella Psicopatologia dell’Apprendimento, una associazione scientifica che raccoglie professionisti clinici e ricercatori che lavorano nel campo dei DSA. L’AIRIPA ha proprio come missione quella di studiare i disturbi del neurosviluppo, come i DSA, ma non solo, anche di divulgare e formare giovani colleghi e professionisti. Alle famiglie, coerentemente suggerirei di avvalersi di professionisti che hanno curato e continuano a nutrire la propria professionalità, che ricevono un riconoscimento, che non millantano metodi di guarigione infallibili e validi per tutti. In sostanza, sia agli uni che agli altri, suggerirei di non fidarsi troppo di proposte semplicistiche che risolvono problemi che sono inevitabilmente complessi.
T.S. Bene Renzo ti ringrazio anche a nome del lettore per aver voluto fare chiarezza con queste tue parole. Un caro saluto e buona psicologia a tutti!
R.T. Grazie a voi per avermi dato questa possibilità e buona psicologia anche a voi!